Maria e Giovanni - Cammimo per incontrare Dio

I Cercatori di Dio
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Maria e Giovanni
Maria e Giovanni, sotto la croce, vivono un momento drammatico. Maria perde il Figlio di Dio che aveva cresciuto, Giovanni, “il discepolo che egli amava” (cfr. Gv 19,26) perde l’amico, dal quale era stato introdotto al mistero dell’amore. Tutto sembra finito, Maria e Giovanni sperimentano il termine della loro missione terrena e sono pronti a morire per lui, senza farsi scalfire dall’apparente fallimento umano.
 
È a questo punto che Gesù, prima di morire, dà inizio a una nuova storia che è il continuo della sua missione: chiama sua Madre e Giovanni a collaborare per la salvezza degli uomini per portare al Padre tutta l’umanità e l’intera creazione (cfr Ef 1,1-23).
Maria
Se il Padre non la sostenesse, in questo dolore “oscuro”, sarebbe sopraffatta dallo strazio. È una sofferenza umanamente incomprensibile: Gesù che ha compiuto solo del bene arricchendo tutti quelli che incontrava, non si “meritava” il patibolo (diremmo noi). La Madre, però, intuisce (e a maggior ragione tutti noi) che questa fine riguarda la missione che il Padre gli ha affidato, quella di donare la sua vita per la redenzione dell’uomo e del mondo.
In Maria, possiamo cogliere sia la mestizia simile a quella di tante madri che devono assistere alla fine del loro figlio, sia la grazia della partecipazione al dolore soprannaturale del Figlio. Il fatto che soffra insieme col Figlio, seppur in misura minore, la trasforma in “Corredentrice”.
Maria
D’altra parte, Gesù, che aveva sempre vissuto nel cuore di sua Madre,  non poteva non prendersi cura di lei perciò, prima di morire, l’affida a Giovanni e le dona una fecondità nuova, una maternità spirituale, facendola diventare madre del discepolo, anzi di tutti i discepoli che verranno, cioè Madre della Chiesa intera.
Gesù, a Maria e a Giovanni che l’hanno seguito fino in fondo, offre una fecondità sovrabbondante, che scaturisce dai meriti che lui ha “guadagnato” sulla croce.
Questa fecondità è dono di vita per ambedue. Infatti, anche a Giovanni, viene donata una fecondità spirituale che, unita a quella di Maria, è segno dell’amore di Gesù verso gli uomini.  
Gesù, dona a sua Madre il “sacerdote” Giovanni, e lei accetta. In Giovanni, la parola del Signore continua a vivere e, il suo sacerdozio, edifica la solida e soprannaturale fecondità che deriva dalla Grazia di Dio e dalla sua missione.
Il Signore si assicura così, che la fecondità di Maria non rimanga racchiusa nella temporalità terrena, ma si apra alla soprannaturalità nella Chiesa. Infatti, ora, la Madre, è chiamata a “stare” in Chiesa, accettando l’ospitalità di Giovanni e non viceversa. La sua vita, anche dopo l’Ascensione di Gesù, rimane operosa e porta molti frutti solo perché è vissuta in unione con Dio all’interno di una comunità, che è la Chiesa.
L’amore umano autentico proviene sempre da Dio ed è riflesso di Dio, quindi deve aprirsi a Lui e ai fratelli, perché se si  ripiega su se stesso, senza aprirsi all’eternità di Dio, muore.  Questo vale anche per l’amore soprannaturale e questa dinamica è “vita nuova” che soltanto Dio può offrirci.
Maria già conosceva questa realtà, Giovanni l’aveva imparata dal suo Maestro. Quando la Madre va ad abitare nella sua casa, porta con sé la sua concreta ubbidienza a Dio, e trasforma il legame con Giovanni come una nuova forma di tensione verso il Signore, in un vero rapporto soprannaturale verso Dio. L’ubbidienza di Maria verso il Signore, si compie nell’ubbidienza nei confronti di  Giovanni che riveste il ruolo di apostolo nella Chiesa.
Così, Maria, diventa il modello per tutti noi che ci diciamo cristiani.
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Responsabile don Fabrizio Maniezzo

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