La profezia di Vittorio Bachelet
“Occorre saper vedere i segni dei tempi e saperli giudicare alla luce della fede”.
“Anche oggi ai cristiani non è chiesto di stare alla finestra, con uno sguardo di estraneità o peggio di diffidenza verso il mondo, ma di farsi interpreti delle attese, delle angosce e delle speranze e dei cittadini, con la convinzione che nonostante tutte le difficoltà, ci sia la possibilità di un futuro migliore per la vita del nostro Paese e per la vita delle nostre Istituzioni”.
BIOGRAFIA
I sacrifici per una società migliore
Vittorio Bachelet nasce il 20 febbraio del 1926 a Roma. La sua famiglia di origini piemontesi è molto numerosa: Vittorio ha ben nove fratelli, tre dei quali muoiono in età infantile. Il padre è un ufficiale del genio, e nel 1923 la famiglia lo segue a Bologna. I genitori sono molto religiosi e il piccolo Vittorio viene subito iscritto nel circolo parrocchiale di S. Antonio di Savena. Durante la frequentazione delle scuole superiori a Roma partecipa alla congregazione eucaristica guidata dal cardinale Massimo Massimi. Dopo la licenza liceale si iscrive alla facoltà di giurisprudenza all'Università La Sapienza. Da studente continua a coltivare il suo legame con la FUCI, e si impegna anche nell'attività di redattore e condirettore della rivista universitaria "Ricerca".
Si laurea nel 1947 e diventa assistente volontario della cattedra di diritto amministrativo. Oltre al profondo interesse per il diritto, comincia a manifestare anche una certa passione politica: lavora, infatti, alla rivista di studi politici "Civitas", di cui diventerà poi vicedirettore responsabile. La sua carriera diventa sempre più solida grazie ai diversi incarichi presso il Cir, Comitato Italiano per la Ricostruzione, e la Cassa del Mezzogiorno.
Nel 1951 sposa Maria Teresa De Januario dalla quale avrà due figli, Maria Grazia e Giovanni. Nel 1957 diventa libero docente di diritto amministrativo e istituzioni pubbliche e dà alle stampe un importante testo: L'attività di coordinamento nell'amministrazione pubblica dell'economia. Nel 1959 papa Giovanni XXIII lo nomina vicepresidente dell'Azione Cattolica Italiana con il compito di rinnovare l'intera associazione. Da questo momento il legame con la più famosa delle istituzioni cattoliche non si romperà più, e nel 1964 ne diviene presidente. Vittorio Bachelet viene nominato per ben tre volte concludendo il suo ultimo mandato nel 1973. Ma il suo attivismo cattolico non finisce, e sempre nel 1973 viene nominato vicepresidente della commissione pontificia per la famiglia. Inizia così a battersi per favorire una maggiore partecipazione dei laici alle attività cattoliche, e a difendere temi come quello dell'unità della famiglia.
Anche la sua carriera universitaria diventa sempre più solida e importante: insegna diritto all'Università di Pavia e Trieste, e nel 1974 diventa docente ordinario di diritto pubblico dell'economia presso La Sapienza di Roma.
Nel 1976 entra in politica e viene eletto al consiglio comunale della sua città tra le file della Democrazia Cristiana; sempre nello stesso anno viene nominato vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura tramite designazione politica. I suoi scritti rivelano una vocazione laica ad agire cristianamente nel mondo.
Caratterizzato da un profondo senso dello Stato e delle istituzioni, Vittorio Bachelet teorizza l'importanza di uno stretto legame tra la classe amministrativa e quella politica con il doppio intento di garantire l'efficienza e la legalità di entrambe. Il suo interesse nel settore amministrativo e politico si allarga fino a comprendere l'istituzione militare. Scrive, infatti, il testo: Disciplina militare e ordinamento giuridico statale (1962) con il quale contribuirà al rinnovamento dell'ordinamento militare italiano.
Quattro anni dopo, prima di compiere 54 anni, il giorno 12 febbraio del 1980 Vittorio Bachelet viene ucciso: le Brigate Rosse lo colpiscono in un'aula universitaria mentre sta chiacchierando con una delle sue assistenti (la giovane è Rosy Bindi, futura politica italiana). I suoi killer sono mescolati tra gli studenti, e, dopo avergli scaricato addosso ben otto colpi di arma da fuoco, riescono a svanire nel nulla approfittando della confusione generale.
Il suo assassinio rientra nella scia di sangue che vede coinvolte le BR dopo l'istituzione del processo torinese contro i brigatisti Curcio e Franceschini. Vittorio Bachelet viene colpito proprio per il suo ruolo all'interno del Consiglio Superiore della Magistratura. A guidare i terroristi è lo slogan: "la rivoluzione non si processa".
Dopo l'omicidio Moro, il clima di terrore si intensifica notevolmente, ed è proprio in questa atmosfera che nasce il progetto dell'assassinio del giurista. Uno dei due attentatori, Laura Braghetti, scrive nel 2003 un libro (Il Prigioniero) in cui rivela come si sia scelto di uccidere Bachelet perché non avendo la scorta era un bersaglio più semplice. La famiglia di Vittorio, usando come portavoce il figlio Giovanni, ha perdonato gli esecutori materiali dell'assassinio nel giorno stesso del funerale.
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