Il mistero della morte
La morte come destino
L’uomo, nel paradiso terrestre, viveva una relazione intensa con Dio, si rallegrava della sua grazia, godeva e regnava sulla creazione a lui soggetta, senza affanni per l’avvenire.
Quando il peccato entrò nell’uomo, ci fu uno stravolgimento in tutta la creazione.
La presenza di Dio si velò e l’uomo si trovò solo con il suo errore. Da quel peccato originario ne seguirono altri, perciò l’uomo dovette trovarsi un posto diverso da quello al quale era
stato originariamente destinato, e poiché egli, nel suo essere è immagine e somiglianza di Dio, bramò di diventare pari a Lui, creandosi un mondo a sua misura.
Così, le pelli con cui aveva rivestito la propria nudità paradisiaca, s’ispessirono sempre più ed egli, marchiato dai suoi peccati, cercò di nascondersi lontano dagli occhi di Dio, ripiegato su se stesso in una solitudine sempre più grande, al punto che Dio, nella ‘pienezza dei tempi’, decise di inviare suo Figlio nel mondo come uomo-Dio, per rendersi più accessibile all’uomo, e naturalmente per offrirgli la salvezza,
in definitiva il superamento del peccato, non solo originale ma anche quello
attuale.
Ma
l’uomo, dopo il peccato, stenta a riconoscere che Dio possa avere altri
progetti su di lui, perciò s’ingegna a conformare i suoi pensieri al piccolo
mondo che si è creato, prova a respingere i limiti dei suoi giorni e ad ampliare
il circolo d’azione del suo potere, nella vana ricerca di soddisfare il suo desiderio
di grandezza. I suoi talenti, ormai, sono molto ridimensionati e lui, per non
incappare in Dio precipita in una finzione, senza futuro, nella convinzione di
essere padrone di se stesso, senza accorgersi che così facendo, dilata solo lo
spazio della sua angoscia.
Così,
l’uomo, non accettando che sia Dio a donargli la vita, prova angoscia al
momento di rendergliela quando muore; egli sperimenta sempre la morte come la fine
precoce, inopportuna e improvvisa della sua esistenza. La morte è il suo limite
estremo che, a volte, è capace di dilazionare, mai, però, di respingere e
superare e, anche se vede morire le persone più care, non accetta che essa sia
un passaggio verso Dio e che Lui abbia l’ultima parola.
L’uomo,
lontano da Dio, cerca sempre delle scappatoie nell’illusione che diano un po’
di pace ai suoi giorni e tolgano l’orrore della morte.
Un
appiglio sono gli stessi morti. Egli, illudendo se stesso, trasferisce in un
aldilà immaginario, le esperienze e le leggi della sua esistenza, trasmettendo
a loro ciò che lui non ha potere di fare. Perciò, il culto dei morti, non è
altro che la dimostrazione della sua paura e di quanto sia profondo l’oblio di
Dio. Un altro appiglio, è l’adesione a una filosofia di vita che lo soddisfi e
lo faccia godere quanto più possibile, nella finzione di allontanare il momento
della morte (sempre in agguato).
Questo
gioco a nascondino, riesce bene nel fiore dell’età, ma nella vecchiaia occorre
trasformarlo in saggezza, per non farsi sorprendere del tutto dalla morte che, spesso,
è sperimentata nello stesso modo di come uno ha vissuto. Se la morte sopraggiunge
in un tessuto di menzogne, lontano dalla Verità che è Dio, anche quell’estremo
momento figurerà come una menzogna, nonostante gli avvertimenti che la
Provvidenza di Dio gli manda. Infatti, l’uomo, è capace di interpretare la
malattia o gli incidenti come ‘segnali’ per gli altri, ma non per se stesso e
così, senza preoccuparsi del dopo, se ne va incontro alla sua ora.
Ma
la menzogna non può durare per sempre!
Proprio
‘in quel momento’, l’uomo si rende conto che non gli sarebbe costato molto
abbracciare la fede in Dio, e ora per Grazia, ha l’ultima occasione per
decidere se stare dalla parte di Dio e chiedere perdono, o stare con se stesso
in una ‘superbia della vita’ e affondare nell’angoscia!
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